a sinistra Felice Taddeo a destra Mutascio Pietro di Ospedaletto (AV). proveniente dalla bande di Carmine Crocco
Generale Enrico Cialdini seduto con ufficiali
Antonio Binda gribaldino testimone dei fatti di Cervinara raccontati in Memorie Garibaldine
Uomini di Melegari che entrano a Benevento dopo Pontelandolfo e Casalduni
Bersaglieri Piemontesi
Domenico Papa Brigante banda La Gala di S.Maria a Vico
Moscatiello Luigi di Cervinara brigante Banda Pace Alessandro
Brigante Michele Marino di Cervinara della banda Alessandro Pace fratello di Giocondina
Magnotta Silvestro di Cervinara brigante della banda Pace
Maggiore Melegari Pier Eleonoro da giovane. Operò sui Monti di Cervinara e Valle Caudina
Melegari in età matura. Gestì le operazioni di contro brigantaggio in Valle Caudina ed anche a Pontelandolfo e Casalduni
Giocondina Marino compagna del brigante Alessandro Pace
Generale Cialdini Enrico primo piano
generale Cialdini
Giona e Cipriano la Gala
Autentici criminali – scrive Francesco Barra – brutale e rozzo Giona, assai più abile ed evoluto Cipriano, i due fratelli che vantavano gravissimi precedenti penali prima del 1860, non possono aspirare ad un movente politico, né sociale. Sarebbero rimasti insomma sicuramente in carcere se non avessero accettato la strumentalizzazione borbonica, in cambio della libertà, con l’avvento del nuovo Stato unitario, che gli aveva fornito protezioni e finanziamenti occulti.
Ma La Gala restava un criminale, un affiliato alla camorra. Un bandito urbano – conclude Barra – più che rurale; un camorrista, più che un brigante. Era comunque un furbo che prendeva continuamente in giro i soldatini piemontesi, scampando ai loro agguati in tutta la Valle Caudina, come quella volta che scapparono su per lo scosceso vallone di Cervinara, inseguiti dai bersaglieri, e poi giù, per il dirupo, lasciando vesti ed armi.
Quel giorno, per esempio, era stato ordinato alle guardie del paese di piantonare il burrone, ma al momento oppurtuno non vi si trovò nessuno, rinchiudendosi i militi nelle proprie case, mentre i briganti, durante la precipitosa fuga dopo il saccheggio, furono per poco tempo inseguiti solo dagli spaesati bersaglieri che non conoscevano la zona. Era il 14 dicembre 1861, il giorno dell’ultimo saccheggio.
La banda di La Gala, poche lune prima di essere annientata dai bersaglieri del Generale Franzini sul Piano Majuri, un pianoro fra monti di Avella e Cervinara, era riuscita a saccheggiare le frazioni di Castello, Joffredo e Ferrari. Il 18, infatti, fu sorpresa ed attaccata alla baionetta. Una quarantina i malandrini che rimasero a terra, qualche storico parla di 31 uomini uccisi sul piano Cornito. Cipriano, Giona e i superstiti riuscirono però a scappare a Valle, cercando scampo sul Taburno.
Ma la loro disfatta fu sancita tra Carvinara e Montesarchio, con un intervento del distaccamento del VI Fanteria, comandato da Gaetano Negri, futuro storico, senatore e sindaco di Milano. I due, ancora una volta, sciolta la banda, riuscirono a fuggire definitivamente, riparando nello Stato Pontificio, dove dilapidarono la ricchezza male acquisita (un’altra parte del bottino, abbandonata durante il fuggi-fuggi, sarebbe poi stata ritrovata appena qualche decennio fa, in un terreno privato, nel corso dello scavo di un pozzo, donando improvvisa ricchezza al fortunato.).
Capito insomma che la partita era ormai persa, si diedero alla pazza gioia e ai divertimenti, mentre sulle montagne irpine non rimanevano a battersi che pochi disperati, destinati a cadere sotto i colpi della represssione.
Due anni più tardi decisero di riparare in Francia, non sentendosi sicuri più neppure a Roma, imbarcandosi a Civitavecchia sul piroscafo “Aunis”. Gli andò male e, il 18 luglio 1863, mentre la nave francese diretta a Marsiglia faceva sosta a Genova, furono arrestati, non senza conseguenze diplomatiche, seriamente compromesse tra Italia e Francia. Giona e Cipriano La Gala riuscirono a far parlare si se ancora per molti anni.
Il processo si svolse nel febbraio-marzo 1864 davanti alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere, ed ebbe risonanza internazionale con la presenza della stampa estera. I fratelli La Gala vennero condannati a morte, mentre i loro compagni, Domenico Papa e Giovanni D’Avanzo insieme ad essi catturati sulla nave, se la cavarono chi con i lavori forzati, chi scontando una pena a venti anni.
Giusto per chiudere l’incidente diplomatico con la Francia, però, l’Italia dovette commutare la pena, degli ormai famosissimi briganti, con l’ergastolo.
infallibile Carabina di Avellino. Morto a Cervinara a metà di via Renazzo. Banda Taddeo Felice
Dall’alto Nicola D’amato,, Luciano Alfonso, Michele Cillo
Cillo fu catturato insieme a Taddeo Felice e imprigionato nel Carcere Borbonico di Avellino
primo piano Cipriano La Gala
da sinistra Giona LA Gala, Pasquale d’Avanzo di Avella, seduto Cipriano la Gala, Domenico Papa di S. Maria a Vico
Nella banda di Ciccone e Pace faceva da vivandiera e guardiana Carolina Casale, giovane contadina di Cervinara, nell’Avellinese. ….. innamoratasi di Michele Lippiello, di cui era già incinta, non poté sposarlo perché Lippiello si era aggregato alla banda di Ciccone e Pace. Il fidanzato-brigante una notte fece irruzione nella pagliaia dove abitavano i familiari di Carolina, e la costrinse a seguirlo. Cosi Carolina Casale si aggregò anch’essa alla banda e conobbe Giocondina Marino, una compaesana di Cervinara. Da allora la Casale partecipò alle azioni della banda, vestita da uomo, agli agguati, ai sequestri. Il fratello Pasquale, altro aggregato, si era costituito, convinto da conoscenti di Cervinara, che, per questo suggerimento, furono uccisi da Alessandro Pace. A Roccamonfina partecipò al sequestro di Antonio Petrilli, del fratello e dei suoi cugini, un colpo solo. Non esitò a buttarsi nella mischia di monte Pipirozzi contro la truppa e non rimase estranea all’omicidio di Giuseppe Di Francesco, a Mignano, perché Ciccone ebbe sospetti su di lui nonostante si fosse unito alla banda. In un successivo combattimento con un distaccamento di Fanteria, fu catturato insieme ai briganti Santo e Moscatelli, e tradotta a Mignano con Gioacchina Marino e Maria Capitanio. La Corte d’Appello di Napoli la condannerà per associazione a delinquere, estorsione, sequestro di persona, e omicidio premeditato.
Quando fu scarcerata, riprese il mestiere di carbonaia; il suo Michele Lippiello morì in un conflitto a fuoco sulla strada che da Caiazzo conduce a Capua, verso la Piana . Anche la compaesana Giocondina era stata rapita da Alessandro Pace mentre lavorava nella carbonaia di Valleprata e partecipò alle numerose imprese di questi tra Caserta e Campobasso, fra cui quella in danno della famiglia Petrilli di Fontanafredda. Riunitesi le bande di Fuoco, Guerra, Ciccone e Santaniello, combatté con esse contro la truppa che presidiava Terra di Lavoro, a Piedimonte d’Alife, Caiazzo, Piana di Caiazzo[1], Villa Santa Croce, Conca, Isernia, Presenzano. Era diventata una furia di guerra.
Palumbo Carmine
Palumbo Carmine
Capobanda Alessandro Pace che venne a compiere un omicidio a Cervinara
Felice Taddeo che indossa i pantaloni e il berretto di un carabiniere ucciso in località Ariella Vedi lapide cimitero di Cervinara all’ingresso
Antonio Binda garibaldino che racconta i fatti di Cervinara del 30 novembre 1861
Felice Taddeo capo Brigante in posa fotografica seduto
felice Taddeo
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